L’akadama come substrato per la coltivazione dei cactus e delle piante grasse: cos’è e come funziona

Cos’è l’akadama? L’akadama può essere utilizzata come substrato per i cactus e le piante succulente? Come si usa l’akadama? Da alcuni anni, da quando questo materiale ha visto crescere la sua diffusione e reperibilità sul mercato, queste domande hanno cominciato ad aumentare di conseguenza. Diciamo subito che l’akadama è un materiale, sostanzialmente un’argilla, largamente impiegata ormai da moltissimi anni nella coltivazione dei bonsai. Da tempo, però, alcuni coltivatori hanno cominciato ad aggiungerla anche ai terricci (o substrati) per cactus e piante grasse.

Va detto subito che anche con le succulente l’akadama può essere usata in purezza (come si fa quasi sempre per i bonsai) oppure miscelata ad altri componenti come sabbia, ghiaia, pomice, torba, per realizzare il substrato. Un altro utilizzo dell’akadama è rappresentato dalla semplice pacciamatura: è sufficiente stendere un leggero strato di questo materiale (mezzo centimetro) sulla superficie del substrato, attorno alla pianta, così da ottenere un effetto estetico abbastanza naturale e tenere in ordine i vasi, evitando che i materiali più leggeri come la perlite fuoriescano con le annaffiature. Il punto è: come funziona l’akadama con i cactus e con le piante grasse in generale? Questo materiale è molto poroso, trattiene l’umidità e la rilascia gradualmente, esattamente come fa la pomice, che è il materiale più usato in assoluto nei terricci per queste piante. L’akadama svolge dunque una funzione drenante ma, grazie alla sua composizione, fornisce anche diversi nutrienti alla pianta. La risposta al primo quesito, dunque, è sì: l’akadama può essere usata anche con i cactus e le piante grasse e funziona bene. C’è però un discreto “contro”, in particolare se si hanno molte piante, che vedremo più avanti.

Ecco allora nell’articolo che segue un approfondimento su cosa è l’akadama, quali sono i suoi pregi e i suoi difetti e come può essere usata nella coltivazione delle succulente. (…)

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Vasi e inerti nella coltivazione di piante grasse: si possono riciclare o è meglio buttare tutto?

Il rinvaso delle piante, si tratti di succulente o meno, comporta l’utilizzo di vasi, terriccio e materiali di vario tipo. Quando si hanno molte piante, naturalmente, il numero di vasi, vasetti, contenitori, terricci, inerti cresce notevolmente. E’ dunque possibile riciclare questi materiali? E’ possibile riciclare anche i vasi? E se sì, come farlo correttamente?

L’autunno entra nel vivo e con l’arrivo delle giornate fredde le piante grasse, si tratti di cactacee o di succulente, richiedono meno “attenzioni” da parte nostra. In questo periodo, quantomeno al Nord Italia, le piante devono già trovarsi nella loro collocazione invernale, protette dalle intemperie e dal freddo eccessivo. Per i rinvasi c’è tempo, dal momento che è meglio attendere la metà o la fine dell’inverno per questo genere di operazioni. Le annaffiature sono ovviamente sospese e non ci resta che effettuare qualche trattamento preventivo per proteggere le succulente da funghi e muffe durante i mesi invernali. Quale periodo migliore, allora, se non questo per dedicarsi a fare ordine tra vasi, vasetti, terricci e materiali necessari per i substrati? Ed è qui che sorge in molti coltivatori una domanda tutt’altro che banale: vasi e inerti costano, è proprio il caso di buttarli e comprarne di nuovi o è possibile riciclare tutto questo materiale? La risposta, chiaramente, è sì: riciclare è d’obbligo, ma attenzione, a determinate condizioni e assicurandosi che tutto ciò che andremo a riutilizzare sia perfettamente pulito e privo di parassiti, spore, muffe, polvere ecc.

A questo tema è dedicato l’articolo che segue, che entra nel dettaglio della pulizia e della sterilizzazione di vasi (in plastica e cotto) e dei materiali utilizzati per i substrati (pomice, lapillo, ghiaia, ecc.) che sono stati messi da parte dopo gli ultimi rinvasi effettuati nei mesi scorsi. (…)

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Rinvaso di una pianta grassa: cosa fare subito dopo e quanto si aspetta prima di bagnare il terriccio

Chi coltiva piante grasse da tempo – siano esse cactacee o succulente – sa bene cos’è opportuno fare dopo il travaso (o “rinvaso”), e certamente sa che queste piante non vanno immediatamente bagnate al termine di questa operazione. Tuttavia, c’è rinvaso e rinvaso: c’è quello “invasivo” e quello che prevede il semplice spostamento di una pianta da un vaso a un altro. C’è il rinvaso che prevede la pulizia totale delle radici e quello che comporta solo una superficiale pulizia del vecchio terriccio. Insomma, le casistiche sono tante e si può procedere in svariati modi. Alcun punti fissi, però, ci sono e vanno rispettati se vogliamo evitare il rischio che a seguito di questa operazione la pianta vada in stress o, nel peggiore dei casi, muoia a seguito di un marciume partito proprio dalle radici.

Del rinvaso di cactus e piante succulente abbiamo parlato diverse volte in molti articoli, in particolare in quelli raccolti nella categoria “I rinvasi”, che potete raggiungere tramite questo link. Viste però le tante domande che ancora vengono poste sui social (o direttamente a questo sito via mail), si ritiene utile dedicare uno specifico articolo alle varie tipologie di rinvaso e a ciò che è necessario fare subito dopo aver terminato questa operazione.

Ecco perché questo articolo, certamente utile al neofita, può rivelarsi altrettanto utile al coltivatore di lungo corso. Qui vedremo infatti le varie tipologie di rinvaso possibili, gli accorgimenti da usare e, soprattutto, cosa fare (non solo dal punto di vista dell’annaffiatura) una volta terminato il rinvaso di una succulenta. (…)

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Argilla espansa e torba: sono davvero due materiali da evitare nella coltivazione delle piante grasse?

Un buon terriccio (o substrato) per cactus e piante grasse deve avere un’ottima capacità di drenaggio ed essere in grado di asciugare rapidamente, così da evitare ristagni e potenziali marciumi. Sulla composizione dei terricci per cactus e piante grasse in questa sezione del sito troverete moltissimi articoli. Qui ci concentriamo invece su due elementi in particolare: torba e argilla espansa.

Odiati, bistrattati, guardati con disprezzo, spesso accuratamente evitati. Argilla espansa e torba sono due elementi molto contestati e avversati tra i coltivatori di piante succulente e di cactus in particolare. Al netto delle chiacchiere da Internet, si tratta davvero di due materiali che con la coltivazione di questa tipologia di piante andrebbero dimenticati? La questione resta aperta e ogni coltivatore ha le sue ragioni, ma un dato di fatto c’è: in Rete, per quanto riguarda argilla espansa e torba si dice davvero di tutto. Si dice soprattutto che trattengono eccessivamente l’umidità e per questo andrebbero banditi dalla coltivazione di cactus e piante grasse in generale. Si dice che favoriscano l’insorgenza del marciume, che non lasciano traspirare le radici e molto altro ancora. Perché allora moltissimi vivaisti seri (e con loro coltivatori esperti) ne fanno ancora largo uso? Semplicemente perché, come in tanti fattori della coltivazione, il punto non è tanto il materiale in sé, quanto il tipo di utilizzo che se ne fa.

In questo articolo vediamo allora di capire se davvero l’argilla espansa e la torba sono materiali così “pericolosi” per cactus e succulente, se e come possono essere utilizzati e quali sono i loro reali pro e contro. (…)

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Come coltivare i cactus: il vademecum con le 10 cose che devi assolutamente sapere per evitare errori

Sole pieno? Ma che ne vuoi sapere, la finestra sul pianerottolo basta e avanza! Terriccio? Io lo compro pronto al supermercato, è perfetto. I vasi? Più piccoli sono e meglio è: guai a lasciare più di mezzo centimetro tra la pianta e il bordo… E via così, a suon di amenità, false convinzioni, “sentito dire” che assurge rapidamente a dogma perché… perché l’ha detto il tizio là su Facebook e quello si capisce subito che è uno che se ne intende perché ha le luci giuste e il montaggio pare gliel’abbia fatto Kubrick. Battute a parte, quante fesserie tocca ancora oggi sentire riguardo alla coltivazione dei cactus? Quanti “influencer” improvvisati cavalcano la cresta dei social sospinti dal Maestrale dei like (già, i like, che in gergo vengon detti “le metriche della vanità”…) e, forti per l’appunto di legioni di followers e pollicioni in su, ammanniscono lezioni e conferenze ammiccando dai monitor, svelandovi “5 trucchi fantastici che non conosci sui cactus” o “come passare dal seme alla pianta in fiore in 35 secondi netti”. Oppure, con atteggiamento a metà tra il cospiratorio e l’aummaumma dello sgamato imbonitore, ti promettono di insegnarti tutto ma proprio tutto sulla coltivazione di queste splendide piante (solitamente declinate a elemento d’arredo anche grazie a vezzeggiativi quali “ciccette”, “grassine”, grassottelle” e avanti così con tutto ciò che veste bene i lipidi). Poi, magari, scava scava, scopri che l’influencer di turno coltiva cactus da 2 o 3 anni – regalo di nonna -, li tiene accanto al pc o al televisore (“sai, assorbono i raggi magnetici”), non distingue una Rebutia da una Begonia e non s’è mai preso/a la briga di sfogliare un qualsiasi libro su cactacee e succulente. Tanto c’è il web, no? Ci sono gli influencer anche per le piante, no? No. Ci sono personaggi simpatici e preparati, ci sono bei faccini che qualcosa sanno, ma c’è anche tanta fuffa (perdonate il termine da vecchio cronista). Tante informazioni sbagliate, tanta confusione e tanta impreparazione.

Allora, senza alcuna velleità di offrirvi con questo articolo “Il Verbo”, ecco un vademecum, un elenco di dieci cose che dovete sapere (o dovreste già sapere!) se volete coltivare davvero al meglio i vostri cactus. Senza trucchi né inganni: qui siamo ai fondamentali, suvvia. Ma senza questi non si va da nessuna parte. E sono convinto che anche chi, scorrendo i 10 punti dirà dieci volte “ah sì, lo so”, troverà in questo vademecum uno strumento utile per ripassare, porsi qualche domanda in più e spingersi a migliorare. E state tranquilli, quanto segue non arriva dal web, ma da 30 anni di esperienza sul campo, di esperimenti e fallimenti, dal confronto con coltivatori e studiosi ben più esperti di me e dalla lettura di qualche dozzina di manuali in italiano, inglese, francese, spagnolo (e pure tedesco, sebbene in quel caso, lo confesso, mi sono limitato a fotografie e didascalie, non conoscendo il teutonico idioma!) (…)

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