Coltivo i miei cactus e, più in generale, le mie succulente, in tanti modi. L’obiettivo, però, è sempre quello: cercare di avere piante sane, robuste e il più possibile simili a quelle che crescono nel loro habitat naturale. In questo mi sono ispirato anzitutto al più esperto “cactofilo” italiano, Andrea Cattabriga, che ho la fortuna di conoscere personalmente (qui trovate l’intervista che mi ha rilasciato). Il lavoro di Cattabriga, ossia la coltivazione “wild”, si è affinato in anni di sperimentazione, partendo dai suggerimenti del “maestro” Giuseppe Lodi, che Cattabriga, a sua volta, ha conosciuto di persona tanti anni fa.
Negli ultimi anni la filosofia di coltivazione “al naturale” dei cactus e delle succulente si è diffusa un po’ in tutta Italia, a quanto ho appreso dai social ma anche dal confronto diretto con altri appassionati in occasione di eventi o mostre-mercato di succulente. Non a caso, è ormai entrato nel lessico cactofilo il termine “wild” con riferimento a una coltivazione che punta a ottenere esemplari in “cattività” simili a quelli che possiamo osservare (dal vivo o grazie a Internet) nei luoghi di origine come Messico, Stati Uniti e Sudamerica. Si può dire, in sintesi, che la coltivazione “wild” si pone in alternativa ai metodi “tradizionali”, che troppo spesso portano ad avere esemplari che per forma, colore e spine differiscono significativamente da quelli in natura.
In questo sito, nei vari post e nelle sezioni che lo compongono, affronterò in dettaglio i fattori della coltivazione come l’esposizione, i materiali e i substrati, il regime di irrigazione, le temperature, le fertilizzazioni… Lo farò, naturalmente, sulla base di quello che ho imparato direttamente, nel bene e nel male. Si può sperimentare con tutti i fattori della coltivazione, passando ad esempio dalla luce parzialmente filtrata di una serra alla piena esposizione al sole diretto (qui trovate un articolo sull’esposizione delle piante grasse); oppure dall’utilizzo della normale acqua dei nostri pozzi (o rubinetti), spesso calcarea, a quella piovana, più acida. Per non parlare della composizione dei substrati, argomento sul quale si può aprire un intero mondo. Se infatti la coltivazione “tradizionale” predilige terricci a base del classico mix formato da torba, pomice e lapillo in parti uguali, la coltivazione “wild” parte dalla terra di campo (solitamente argillosa e sabbiosa) e prevede inerti come ghiaia di fiume, sabbia, quarzite ma anche pomice (sebbene questo materiale non sia disponibile nei luoghi di origine dei cactus). Altrettanto importante, nella coltivazione wild, è l’utilizzo della marna, una roccia sedimentaria che si è rivelata eccezionale con alcuni generi di cactus. Per approfondire la conoscenza di questo particolare materiale potete consultare questo articolo.
Con un po’ di coraggio (necessario per sgretolare convinzioni assurte a dogmi e smontare preconcetti consolidati nel tempo) e con una buona dose di inventiva e propensione alla sperimentazione si possono ottenere risultati impressionanti. E magari scoprire che quel Ferocactus che abbiamo sempre visto con spine spesse pochi millimetri può sviluppare vere e proprie “armi da taglio” non dissimili dai suoi fratelli in Arizona.
Qui un mio piccolo tentativo di ricostruzione di habitat con la descrizione della procedura.
Molti appassionati, infine, sono diventati veri e propri artisti nel “landscaping” (a questo link trovate un’interessante intervista sull’argomento). Osservano attentamente le foto di piante in habitat, non limitando lo sguardo alla pianta ma allargandolo a ciò che la circonda, e riproducono in vaso un piccolo angolo di Messico, Argentina, Texas, con tanto di rocce, erbe infestanti e pianticelle spontanee non succulente. Spesso si documentano anche sulla composizione chimica e strutturale dei suoli per cercare materiali con caratteristiche, dal punto di vista geologico, simili a quelli di habitat. Li ammiro moltissimo: hanno pazienza, creatività e capacità invidiabili. Io, dal canto mio, sono più concentrato sulla pianta, cercando di renderla forte, vissuta e spinosa (quasi!) come in habitat. Qualche volta gioco un po’ con pietre e rametti, ma il più delle volte, per quanto riguarda ciò che circonda la pianta, mi accontento di realizzare uno strato di terriccio superficiale argilloso (o marnoso a seconda del genere) che possa ricordare quello che ho visto in occasione di qualche viaggio. Se vi incuriosisce il landscaping, date un’occhiata a questo video. Qui l’intento ha finalità più decorative che non realmente “wild”, ma l’idea di fondo è quella: portarsi a casa un pezzetto di deserto.
Infine, se volete vedere le differenze tra un cactus coltivato in modo “naturale” e uno della stessa specie, nato da medesima semina, coltivato in modo “tradizionale”, come si usa in vivai e garden, vi consiglio la lettura di questo mio articolo.
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Qualche scatto “wild”
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