Coltivo i miei cactus e, più in generale, le mie succulente, in tanti modi. L’obiettivo, però, è sempre quello: cercare di avere piante sane, robuste e il più possibile simili a quelle di habitat. In questo mi sono ispirato anzitutto al più esperto “cactofilo” italiano, Andrea Cattabriga, che ho la fortuna di conoscere personalmente (qui trovate l’intervista che mi ha rilasciato). Il lavoro di Cattabriga, ossia la coltivazione “wild”, si è affinato in anni di sperimentazione, partendo dai suggerimenti del “maestro” Giuseppe Lodi, che Cattabriga, a sua volta, ha conosciuto di persona tanti anni fa.
Negli ultimi anni la filosofia di coltivazione “al naturale” dei cactus e delle succulente si è diffusa un po’ in tutta Italia, a quanto mi è sembrato di vedere dai social ma anche dal confronto diretto con altri appassionati in occasione di eventi o mostre-mercato di succulente. Un ottimo nodo di interscambio di informazioni sulla coltivazione è il gruppo “Wild grown cactus and succulents” su Facebook, fondato da alcuni appassionati anche loro ispirati dal lavoro di Cattabriga. Il nome del gruppo la dice già lunga, e non a caso credo sia ormai entrato nel lessico cactofilo il termine “wild” con riferimento a una coltivazione che punta a ottenere esemplari in “cattività” simili a quelli che possiamo osservare (dal vivo o grazie a Internet) nei luoghi di origine come Messico, Stati Uniti e Sudamerica.
Si può dire, in sintesi, che la coltivazione “wild” si pone in alternativa ai metodi “tradizionali”, che troppo spesso portano ad avere esemplari che per forma, colore e spine differiscono significativamente da quelli in natura.
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