Le spine dei cactus: a cosa servono e perché si è passati dalle foglie agli aculei

Così come si riscontra un’ampia variabilità di forme e colori nelle foglie delle specie botaniche in generale, che possono presentarsi piatte, carnose, aghiformi, ovate, cuoriformi, lanceolate, ecc., altrettanta varietà troviamo nelle spine delle cactacee. Nel corso dei millenni l’evoluzione ha portato a un ventaglio di forme e colori notevole, con aculei che possono avere consistenza cartacea oppure elastica e finissima o, ancora, presentarsi rigide, tozze e corte, lunghe e larghe, piatte o affusolate, acuminate, uncinate, di colore nero, grigio, bianco, rosso, giallo. In linea generale possiamo dire che i cactus sono le uniche piante ad essere dotate di spine, dal momento che in altri esemplari del mondo botanico non è del tutto corretto parlare di vere e proprie spine. Pensiamo alle comuni rose: quelle che noi chiamiamo spine sono in realtà escrescenze che si producono lungo gli steli, alternandosi alle foglie, delle quali i cactus sono invece privi. Dunque, cosa sono esattamente le spine e come sono arrivate le cactacee a evolversi con queste “armi” lungo il fusto? A quale funzione assolvono gli aculei nei cactus? Perché alcuni sono acuminati mentre altri sono uncinati? E perché esistono anche cactacee del tutto prive di spine?

A tutte queste domande diamo una risposta nell’articolo che segue (…)

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Echinocactus e Ferocactus, due generi di cactacee con spine per veri intenditori

Se siete amanti delle spine i generi Echinocactus e Ferocactus sono i più indicati per voi. Entrambi i generi raggruppano specie dal portamento inizialmente globoso e col tempo tendente al brevicilindrico. Le spine di queste piante sono sempre robuste, lunghe, spesso piatte e larghe e, nel caso dei Ferocactus, terminano con un uncino. Sono cactacee molto robuste e di facile coltivazione ma richiedono il massimo della luce. Esemplari di Ferocactus ed Echinocactus perfettamente coltivati rappresentano un vero e proprio gioiello della Natura!

Piante robuste e di facile coltivazione, le specie appartenenti ai generi Echinocactus e Ferocactus possono raggiungere dimensioni notevoli anche se tenute in vaso. Si tratta di cactacee molto diffuse e apprezzate, in particolare dagli amanti delle spine “importanti”. La loro coltivazione è semplice e la fioritura in alcune specie avviene dopo 6-7 anni dalla semina. In altre specie, ad esempio Echinocactus grusonii, il cosiddetto “cuscino della suocera”, per poter vedere i fiori occorrono almeno 30 anni, purtroppo!

Ecco, in questo articolo, alcune tra le specie più interessanti di questi due generi e qualche considerazione in merito. (…)

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Naturale o “da balcone”? Ecco come cambia un cactus a seconda del tipo di coltivazione

Coltivare i cactus è, nel complesso, semplice. C’è però un’enorme differenza tra coltivare e far sopravvivere una pianta grassa e coltivarla in modo che possa esprimere al massimo le sue potenzialità. A titolo di esempio, la differenza tra un cactus coltivato in casa e un cactus coltivato in modo spartano, con molta luce e un corretto regime di irrigazioni è enorme. 

Quando si dice che una foto rende meglio di tante parole. In questo caso le foto sono tre, ma il concetto non cambia e la differenza tra un cactus coltivato in modo “naturale” o “wild” e uno coltivato “da garden”, sulla base di nozioni e convinzioni basilari è piuttosto evidente. Le piante in questione sono dei Ferocactus latispinus ottenuti da una mia semina del 2012. Da quella stessa semina ho ottenuto almeno una quarantina di piante. Negli anni alcune le ho cedute, ma la maggior parte è ancora con me e crescono meravigliosamente. E’ importante precisare che si tratta di piante nate da semi contenuti in un unico frutto (regalo di un caro amico), seminati lo stesso giorno e coltivati nel corso degli anni in identiche condizioni, ossia nella mia serra, in terriccio standard (pomice, lapillo e torba in parti uguali), annaffiati e fertilizzati con identica frequenza. Questo per dire che le condizioni di partenza, comprese quelle genetiche e compresa la mano del coltivatore, sono identiche. Eppure, come si vede dalla foto in alto, dove le tre piante (tre a caso delle circa venticinque che ho tenuto per me) sono affiancate, presentano differenze notevoli, quantomeno per l’occhio attento e per il coltivatore con un minimo di esperienza.

Vediamo allora come e perché differenti regimi di coltivazione, intesa nel suo complesso e non limitata al solo terriccio, influiscono così tanto sul risultato finale e fanno veramente la differenza tra un cactus cresciuto e coltivato in un qualsiasi garden o vivaio generico e un cactus coltivato da un appassionato o da un esperto. (…)

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Echinocactus (Homalocephala) texensis, descrizione e cura del cactus “azzoppacavalli”

Un nome scientifico dibattuto e una sfilza di nomi comuni, o “volgari”: da “cactus testa di diavolo” ad “azzoppacavalli”, “puntaspilli del diavolo”, “cactus caramella” e altri ancora. Echinocactus texensis è una cactacea straordinaria, in parte ancora poco conosciuta e poco diffusa in coltivazione e tuttavia, a mio avviso, in possesso di tutte le caratteristiche che rendono un cactus degno di questo nome: aspetto compatto e tondeggiante, spine forti e colorate, bellissime fioriture, grande resistenza alla siccità e alta tolleranza al sole diretto così come alle basse temperature invernali. A questo si aggiungano frutti altamente decorativi di color rosso intenso (tra i più belli in assoluto tra quelli di cactus) e una relativa semplicità di coltivazione unita ad una grande predisposizione per la tecnica “wild”. Questo approfondimento è dunque pensato per iniziare a conoscere, classificare, descrivere e inquadrare l’Echinocactus (o Homalocephala) texensis fornendo consigli di coltivazione e curiosità sulla base della mia esperienza e di quanto compendiato in svariati testi dedicati alle cactacee.

L’articolo che segue è stato pubblicato sul numero di settembre 2021 (vol. 39) della rivista “Cactus World” edita dalla British Cactus & Succulent Society (BCSS). (…)

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Echinocactus parryi: è davvero una pianta solo per veri esperti? Sfatiamo un falso mito

Decisamente meno diffuso in coltivazione rispetto al “cugino” grusonii (il celeberrimo “cuscino della suocera”), l’Echinocactus parryi è stato per lungo tempo considerato una pianta rara, quasi introvabile, riservata a veri intenditori di succulente o a collezionisti e, soprattutto, cactacea rognosissima, la cui coltivazione era riservata ai veri esperti. Ricordo di aver letto in un forum di appassionati, ormai diversi anni fa, che il parryi non andrebbe addirittura mai rinvasato, tanto delicate e sottili sarebbero le sue radici. Si suggeriva, in quel forum, di rinvasare questa pianta solo dopo che era cresciuta svariati anni nello stesso vaso e nello stesso terriccio e si avvertivano i coltivatori: non vi azzardate a sfiorare il pane di terra, non guardatele neanche le radici, perché si rompono con estrema facilità e la pianta non riesce a riprendersi, avviandosi inesorabilmente a morte lenta a causa del rinvaso…

Ma è davvero così ostica questa pianta? Siamo sicuri che quello che si è detto per anni abbia un fondamento concreto? Vediamo, in questo articolo, di sfatare un altro dei tanti falsi miti che gravitano attorno alle cactacee. (…)

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