Naturale o “da balcone”? Ecco come cambia un cactus a seconda del tipo di coltivazione

Coltivare i cactus è, nel complesso, semplice. C’è però un’enorme differenza tra coltivare e far sopravvivere una pianta grassa e coltivarla in modo che possa esprimere al massimo le sue potenzialità. A titolo di esempio, la differenza tra un cactus coltivato in casa e un cactus coltivato in modo spartano, con molta luce e un corretto regime di irrigazioni è enorme. 

Quando si dice che una foto rende meglio di tante parole. In questo caso le foto sono tre, ma il concetto non cambia e la differenza tra un cactus coltivato in modo “naturale” o “wild” e uno coltivato “da garden”, sulla base di nozioni e convinzioni basilari è piuttosto evidente. Le piante in questione sono dei Ferocactus latispinus ottenuti da una mia semina del 2012. Da quella stessa semina ho ottenuto almeno una quarantina di piante. Negli anni alcune le ho cedute, ma la maggior parte è ancora con me e crescono meravigliosamente. E’ importante precisare che si tratta di piante nate da semi contenuti in un unico frutto (regalo di un caro amico), seminati lo stesso giorno e coltivati nel corso degli anni in identiche condizioni, ossia nella mia serra, in terriccio standard (pomice, lapillo e torba in parti uguali), annaffiati e fertilizzati con identica frequenza. Questo per dire che le condizioni di partenza, comprese quelle genetiche e compresa la mano del coltivatore, sono identiche. Eppure, come si vede dalla foto in alto, dove le tre piante (tre a caso delle circa venticinque che ho tenuto per me) sono affiancate, presentano differenze notevoli, quantomeno per l’occhio attento e per il coltivatore con un minimo di esperienza.

Vediamo allora come e perché differenti regimi di coltivazione, intesa nel suo complesso e non limitata al solo terriccio, influiscono così tanto sul risultato finale e fanno veramente la differenza tra un cactus cresciuto e coltivato in un qualsiasi garden o vivaio generico e un cactus coltivato da un appassionato o da un esperto. (…)

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Echinocactus (Homalocephala) texensis, descrizione e cura del cactus “azzoppacavalli”

Un nome scientifico dibattuto e una sfilza di nomi comuni, o “volgari”: da “cactus testa di diavolo” ad “azzoppacavalli”, “puntaspilli del diavolo”, “cactus caramella” e altri ancora. Echinocactus texensis è una cactacea straordinaria, in parte ancora poco conosciuta e poco diffusa in coltivazione e tuttavia, a mio avviso, in possesso di tutte le caratteristiche che rendono un cactus degno di questo nome: aspetto compatto e tondeggiante, spine forti e colorate, bellissime fioriture, grande resistenza alla siccità e alta tolleranza al sole diretto così come alle basse temperature invernali. A questo si aggiungano frutti altamente decorativi di color rosso intenso (tra i più belli in assoluto tra quelli di cactus) e una relativa semplicità di coltivazione unita ad una grande predisposizione per la tecnica “wild”. Questo approfondimento è dunque pensato per iniziare a conoscere, classificare, descrivere e inquadrare l’Echinocactus (o Homalocephala) texensis fornendo consigli di coltivazione e curiosità sulla base della mia esperienza e di quanto compendiato in svariati testi dedicati alle cactacee.

L’articolo che segue è stato pubblicato sul numero di settembre 2021 (vol. 39) della rivista “Cactus World” edita dalla British Cactus & Succulent Society (BCSS). (…)

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Echinocactus parryi: è davvero una pianta solo per veri esperti? Sfatiamo un falso mito

Decisamente meno diffuso in coltivazione rispetto al “cugino” grusonii (il celeberrimo “cuscino della suocera”), l’Echinocactus parryi è stato per lungo tempo considerato una pianta rara, quasi introvabile, riservata a veri intenditori di succulente o a collezionisti e, soprattutto, cactacea rognosissima, la cui coltivazione era riservata ai veri esperti. Ricordo di aver letto in un forum di appassionati, ormai diversi anni fa, che il parryi non andrebbe addirittura mai rinvasato, tanto delicate e sottili sarebbero le sue radici. Si suggeriva, in quel forum, di rinvasare questa pianta solo dopo che era cresciuta svariati anni nello stesso vaso e nello stesso terriccio e si avvertivano i coltivatori: non vi azzardate a sfiorare il pane di terra, non guardatele neanche le radici, perché si rompono con estrema facilità e la pianta non riesce a riprendersi, avviandosi inesorabilmente a morte lenta a causa del rinvaso…

Ma è davvero così ostica questa pianta? Siamo sicuri che quello che si è detto per anni abbia un fondamento concreto? Vediamo, in questo articolo, di sfatare un altro dei tanti falsi miti che gravitano attorno alle cactacee. (…)

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I cactus sono così lenti a crescere e a fiorire? Qualche riflessione e una gallery di immagini

E’ vero che i cactus hanno ritmi di crescita molto lenti? Tutte le specie di cactus crescono lentamente o solo alcune lo fanno? Nell’immaginario collettivo i cactus sono piante a crescita lenta e questo è vero solo in parte, anche perché tutto è relativo. Al netto di questo, è un dato di fatto che nella vasta famiglia delle cactacee vi siano specie molto lente e specie che riescono a raggiungere dimensioni importanti in pochi anni, crescendo dunque con una velocità superiore a quel che si crede generalmente. Molto, ovviamente, dipende anche dal regime di coltivazione che si adotta.

Gli esemplari delle principali specie di cactacee, una volta raggiunti i tre/quattro anni dalla semina, possono essere considerati e trattati al pari delle piante “adulte”. Il mito della lentezza eccessiva nella crescita dei cactus è infatti vero fino a un certo punto. Ci sono sì specie in grado di mettere a dura prova anche i coltivatori più pazienti, ma ce ne sono molte altre che riescono a dare grandi soddisfazioni anche nel giro di pochi anni dalla semina. Tra le piante più lente ci sono senz’altro quelle appartenenti ai generi Aztekium, Copiapoa (quasi tutte le specie), Geohintonia, Blossfeldia, alcune Mammillaria e il noto “Saguaro” (Carnegiea Gigantea). In molti casi si tratta di piante che anche da adulte mantengono dimensioni contenute, in altri casi di piante che da adulte possono raggiungere dimensioni notevoli (la Carnegiea ad esempio): sono tuttavia accomunate da una crescita davvero al rallentatore e in grado di sfiancare anche i più esperti. Molti altri generi, al contrario, hanno ritmi di crescita tutto sommato “veloci” (tenendo sempre presente che rispetto a molte altre famiglie di piante, le cactacee non sono certo a crescita rapida), al punto che nel giro di pochi anni gli esemplari sono ben formati e del tutto simili alle piante adulte. Non solo: molti generi riuniscono specie i cui esemplari possono fiorire già a partire dal secondo anno dalla semina. 

Entriamo nel dettaglio con questo articolo e con una gallery fotografica, cercando di fare chiarezza tra i vari generi. (…)

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La marna come substrato per i cactus: è davvero il Sacro Graal dei cactofili?

La marna è una particolare roccia terrigena molto friabile, al punto che è possibile romperla con le mani ottenendo scaglie e polvere. Negli ultimi decenni molti coltivatori di cactus hanno sperimentato l’uso della marna come base per il substrato, ottenendo eccellenti risultati. Al netto di questo, la marna è purtroppo molto difficile da reperire: in commercio si trova sporadicamente ma occorre fare attenzione perché, come la terra di campo, non tutti i tipi di marna vanno bene. In natura il prelievo di materiale è vietato e occorre rivolgersi a imprese di movimento terra. Ma come influenza la crescita dei cactus la presenza di marna nel substrato? In quali quantitativi può essere usata la marna? Con quali generi di cactus la marna funziona e con quali è meglio non utilizzarla?

L’utilizzo della marna come componente del substrato per la coltivazione di cactus è diffuso ormai da anni, in particolare in Italia, soprattutto grazie agli studi e alle ricerche condotte dall’amico Andrea Cattabriga, coltivatore, ricercatore ed esperto di succulente a livello internazionale. Ma di cosa parliamo, quando parliamo di marna? Molto banalmente, di una roccia grigiastra e altamente friabile, al punto da sfaldarsi in scaglie fino a diventare polvere. Unita in determinati dosaggi ad altri materiali come quarzite, pomice, sabbia, ghiaia, lapillo, torba, terra di campo, la marna è usata per creare substrati per la coltivazione di molti cactus e di alcune piante succulente.

In questo articolo approfondiamo i benefici dell’utilizzo della marna nella coltivazione dei cactus, vediamo come realizzare un buon substrato a base di marna e cerchiamo di capire, soprattutto, con quali generi di cactacee può funzionare questo materiale e con quali va invece evitato. (…)

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