E’ arrivata proprio dai cactus l’ispirazione per produrre idrogeno a costi più sostenibili

Che i cactus siano un piccolo miracolo della Natura, da un punto di vista “evoluzionistico” e per quanto concerne l’ingegnosità delle piante, è un fatto noto a chiunque abbia approfondito un minimo le caratteristiche e le capacità di questa famiglia botanica. Il loro modo di accumulare riserve idriche, di adattarsi a condizioni estreme e di escogitare soluzioni “creative” per far fronte alle avversità insite nei loro luoghi di origine è unico e sofisticato. In una parola, affascinante. E come spesso accade, l’uomo osserva la Natura e ne trae spunto per ricavare soluzioni a problemi o, semplicemente, per tentare di migliorare la propria condizione. Un curioso caso che segue queste dinamiche è stato recentemente riportato da alcuni siti internazionali specializzati e riguarda la produzione di idrogeno, che proprio grazie ai cactus, sebbene indirettamente, potrebbe rivelarsi economicamente più abbordabile.

Ecco in dettaglio di cosa si tratta (…).

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Secondo uno studio di “Nature Plants” i cactus sono le piante più esposte a rischio estinzione

Cactaceae (cactus), una famiglia di piante del Nuovo Mondo, è uno dei gruppi di organismi più a rischio di estinzione del pianeta“. L’assunto è tranchant ma la fonte, purtroppo, è attendibile, dal momento che il passaggio è tratto da un estratto di uno studio pubblicato da Nature Plants, rivista scientifica pubblicata da Nature Publishing Group. Lo studio è stato pubblicato nell’aprile del 2022 con il titolo “Elevato rischio di estinzione dei cactus a causa dei cambiamenti climatici”. Può sembrare un paradosso, dal momento che alcune cactacee stanno adattandosi a climi non propriamente ideali, come quelli che caratterizzano le Alpi Svizzere, come ho riportato in un precedente articolo. Purtroppo è tutto connesso, collegato e conseguente al cambiamento climatico.

Vediamo in dettaglio cosa riporta lo studio pubblicato da Nature Plants (…).

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Cambiamento climatico: i cactus mettono radici in Trentino e sulle Alpi Svizzere

Per gli amanti delle cactacee e delle succulente in generale può sembrare una bella notizia. In realtà, non è tutto oro quel che luccica e la naturalizzazione di piante “aliene” (o “alloctone”) può rappresentare un vero e proprio problema dal punto di vista ambientale, dal momento che questo fenomeno contribuisce ad alterare i delicati equilibri costruiti dalla Natura nell’arco di millenni. E’ quello che è stato recentemente osservato anche in Trentino e in Svizzera, dove, sorprendentemente, si espande la presenza di cactacee, nella fattispecie Opuntia. In effetti, sebbene le Opuntia siano originarie delle Americhe come tutte le cactacee (qui le mappe con la distribuzione delle succulente nel mondo), sono naturalizzate ormai da centinaia di anni in moltissime parti del globo – basti pensare al Sud Italia, ma anche alla lontana Australia. Che questi cactus comincino ad adattarsi al clima delle Alpi Svizzere e del Trentino, tanto da prosperare anche in queste aree, desta non poca sorpresa e – sotto il profilo naturalistico – un certo allarme, che è peraltro connesso al generale problema del cambiamento climatico.

A dare la singolare notizia, alcune settimane fa, è stato il giornale online Il Dolomiti, con base a Trento. Non solo: il tema è stato trattato anche dalla tv Svizzera e dal prestigioso The Guardian. Ecco di cosa si tratta. (…)

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Strane combinazioni della Natura: come ci è finito un onzuka nel vaso di un vecchio Thelocactus?

Quando si coltivano molte piante in uno spazio relativamente ristretto come può essere quello offerto da una serra (per quanto capiente), può capitare spesso di scoprire gradite sorprese nei vasi. I cactus i cui fiori sono stati impollinati naturalmente dagli insetti o i cactus autofertili, in grado di fare tutto da soli, producono frutti, che una volta secchi si spaccano lasciando cadere i semi direttamente sul terriccio alla base della pianta. E’ così che ci si può trovare con esemplari di una certa età contornati da semenzali o piantine di piccole dimensioni, in una sorta di riproposizione “in vaso” di ciò che avviene comunemente in natura. A dispetto di quello che si potrebbe pensare osservando le precise procedure necessarie per la riproduzione dei cactus, la semina spontanea è un fenomeno comune nelle cactacee e talvolta è in grado di regalare vere e proprie sorprese, come è capitato a me in questi giorni.

Ecco, nell’articolo che segue, un piccolo resoconto di quello che è successo. (…)

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Da una bancarella un curioso ritrovamento: ecco come si parlava di cactus nell’Italia di 60 anni fa

Il Serpente”, “L’Imperatrice”, “Il Riccio”, “La Testa Irsuta”, “Il Tessitore”, “Il Re del Deserto”. Ecco come in Italia negli anni Sessanta venivano chiamati alcuni comuni cactus ancora oggi molto diffusi in coltivazione. Erano gli anni del boom economico e per quanto il Paese fosse concentrato sul rilancio dell’economia, la fantasia evidentemente non mancava. Oggi la maggior parte di questi nomignoli non è più in uso e fa sorridere leggere queste definizioni per le cactacee, ma anche questo è un piccolo spaccato di storia, un piccolo esempio di come cambiano usi e costumi nel tempo. Questa “finestra sul passato” mi è offerta da un ritrovamento fortuito, avvenuto qualche mese fa, tra i tomi di una bancarella di libri. Tra un volume e l’altro, ecco spuntare un opuscolo, un fascicoletto a colori in carta sottile, ingiallito dal tempo ma tutto sommato ancora ben conservato. Il titolo della mini guida (il formato è di 11 centimetri di lunghezza per 17 centimetri di altezza e le pagine sono in tutto 16) è semplicemente “Cactus – Enciclopedia della flora”. Da quello che sono riuscito a ricostruire, si tratta di un inserto dell’allora ben nota rivista “Intrepido” uscito con il numero 42 del 18 ottobre 1962. Esattamente sessanta anni fa. 

Per chi ama le cactacee, ama le curiosità e subisce il fascino del passato (come me), ecco allora un piccolo tuffo in quegli anni Sessanta (…)

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